GREENWASHING AND SUSTAINABILITY 2021
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4 ottobre 2021

greenwashing: il pericolo di prendere lucciole per lanterne

Sostenibilità: tutti la vogliono però pochi comprendono la sua complessità e il business che gira intorno, sano ma anche malsano. Compreso il greenwashing, espressione indicatrice di un fenomeno, quello dell’ambientalismo di facciata, sempre più presente nella politica, nella finanza, nella società in generale, con tutte le spiacevoli conseguenze del caso. 
 
 “GREENWASHING AND SUSTAINABILITY, a growing trend that needs to be addressed” è il tema discusso durante la 6° edizione del Simposio Internazionale dedicato alla Sostenibilità organizzato da Alcantara S.p.A. in collaborazione con la Venice International University e con il supporto di Social Impact Agenda per l'Italia, il network italiano degli investimenti a impatto sociale, tenutosi presso l’Isola di San Servolo (Venezia).

In questo importantissimo simposio su un tema non solo attuale ma scottante organizzato da Alcantara che ha visto confrontarsi responsabili politici e rappresentanti di organizzazioni internazionali, scienziati e accademici, imprenditori e manager, l’obiettivo principale è stato quello di mettere una lente d’ingrandimento sulla crescente diffusione del fenomeno greenwashing, problema emergente di assoluta priorità per un mondo migliore. 

Tra i temi trattati anche il ruolo della trasparenza dell’informazione e la necessità di definire standard tecnici e di certificazione che possano essere diffusamente accettati, oltre all’approfondimento della necessità di individuare normative efficaci e della capacità di valutare l'impatto degli incentivi fiscali e di altre misure simili a sostegno della transizione.

Il business della sostenibilità, grazie ai numeri messi in evidenza dalla professoressa Billio dell’Università Cà Foscari di Venezia, è e sarà l’affare del secolo. E non a caso sono tantissimi i fondi che investono perché lo vedono come l’ultimo rifugio sicuro dove mettere i propri soldi. Perché l’ambiente sta diventando non una priorità ma una necessità. E nel mondo attuale dove tutto viene messo in discussione avere certezza, equivale ad aver trovato l’El Dorado.
Per questo è importante che la strada della transizione venga costruita su delle fondamenta sane per non trovarsi in un mondo non solo meno sostenibile ma anche fortemente più minato di quanto già ora non lo sia.

A fare gli onori di casa Umberto Vattani, Presidente della Venice International University e Ambasciatore della Repubblica Italiana, cui è seguito il saluto di Andrea Boragno, Chairman e CEO di Alcantara S.p.A., che ha sottolineato, tra le ragioni che hanno reso importante questo evento “… quanto il greenwashing rappresenti un nemico della transizione ecologica, capace di creare casi di concorrenza sleale, dirottare investimenti da attività sostenibili verso altre che non lo sono. Per questo va bloccato, ed è molto importante che oggi, qui, accanto ai rappresentanti del mondo economico siano seduti quelli delle istituzioni, legislatori, rappresentanti dei media”.

Giusto per capire meglio cosa ruota attorno alla sostenibilità: molti analisti prevedono che gli investimenti annui necessari alla transizione climatica saranno probabilmente più di 1500 miliardi di dollari annui. Di questi, l’impegno al finanziamento pubblico potrà arrivare ai 500 miliardi annui quindi rimane un gap annuo di quasi 1000 miliardi di dollari che necessariamente chiama a una mobilitazione importante di capitale privato verso investimenti sostenibili ed ecco che questi numeri impongono da subito una presa di coscienza sull’ecologismo di facciata, il cosiddetto greenwashing. Perché il grande attore di questo percorso sarà la finanza e l’industria con il suo marketing sempre più spregiudicato che crea nettare annacquato per insetti impollinatori di bocca buona. Oggi a molti produttori di qualsiasi genere basta mettere due etichette verdi e scrivere bio eco… sui prodotti o pubblicizzarli come tali per essere preferiti, ma anche addirittura per farli pagare di più! E attenzione, senza che siano più bio, eco… di altri. Questo è il greenwashing da cui tutti dobbiamo scappare. 

Il punto vero è che manca un vademecum per riconoscere cosa è greenwashing e cosa no. 
 
Il primo intervento di Giovanna Melandri, Chairwoman Human Foundation and SIA (Social Impact Agenda for Italy), Membro del Board Esecutivo di GSG for Impact Investment va dritto al punto:“Tutti coloro che da decenni lavorano sulla transizione ecologica e sociale oggi devono affrontare un nuovo nemico: il rischio che la compliance riferita agli ESG divenga per alcune aziende esclusivamente uno strumento di marketing. La notizia buona è che ci sono sempre più investitori, risparmiatori, cittadini che dichiarano apertamente di voler orientare i loro investimenti a favore della sostenibilità. C’è urgente bisogno di modelli contabili che integrino strutturalmente la dimensione dell’impatto. L’obiettivo storico è quello di superare gli attuali sistemi contabili che ancora oggi governano il mercato dei capitali. L’Europa ha fatto un passo in avanti con il regolamento 2088, ma a livello globale occorre giungere a un modello di “impact weighted accounts”. Solo questo obiettivo può garantire trasparenza e integrità”.

Charissime anche le parole del Ministro Giovannini, a capo del ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili :  “Quello della sostenibilità è diventato il tema centrale a tutti i livelli e il metro per misurare le politiche sociali ed economiche. Perché questa transizione sia reale, occorrono un cambiamento tecnologico - necessario a non privare ulteriormente il mondo delle sue risorse naturali -  una mobilitazione dal punto di vista culturale dei leader politici ed economici e una governance - cioè il modo in cui le persone prendono decisioni collettive - più efficiente. Consapevole del pericolo che fenomeni come il greenwashing rappresentano, soprattutto nel mondo finanziario, l’Europa è in prima linea a livello internazionale per definire l’adozione di indicatori comuni su quanto fatto, e sulla trasparenza di aziende e istituzioni. Il mio ministero sta investendo molto per modificare il processo decisionale, prendendo in considerazione ogni singolo progetto in relazione all’impatto e alla riduzione di COche genera.

Simona Bonafè, Membro del Parlamento Europeo, che ha descritto il modo in cui l’Europa è impegnata a superare le sfide ambientali incombenti e a trasformare l’economia in sostenibile, resource-efficient e competitiva ha detto: “L’Unione Europea è determinata a raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica prefissati per il 2050 anche attraverso l’utilizzo delle risorse di Next Generation EU, il pacchetto di aiuti più importante nella storia dell’Unione. Ma non ci sarà neutralità climatica senza un nuovo modello di produzione e consumo che sia davvero circolare, alla luce anche delle nostre carenze per quanto riguarda la fornitura di materie prime. Per questo è necessario adottare regole chiare e fissare limiti autentici rispetto all’utilizzo di materiali dannosi per l’ambiente, all’adozione di misure adeguate per il riciclaggio, ad incentivare l’uso di materie prime secondarie e ad una metodologia che consenta di misurare l’impatto ambientale dei prodotti. È fondamentale poi evitare il greenwashing: i nuovi claim non devono imbrogliare i consumatori, fornendo informazioni non ingannevoli, basate su criteri di sostenibilità scientificamente validi. Sono certa che abbiamo intrapreso la giusta direzione”. Ma secondo  Timothy Nixon, CEO Signal Climate Analytics, “Solo il 10% delle aziende è davvero trasparente (dati Signal Climate Analytics/Reuters) e molte altre non comprendono appieno quante opportunità vi siano nella trasformazione verso la sostenibilità. Eppure, soprattutto nel lungo periodo, tale lungimiranza ha degli indubbi vantaggi anche sul piano dei profitti e si ha un maggiore vantaggio competitivo, unito ad una migliore reputazione come azienda che tiene fede a quanto dice.
 
Nel corso del Simposio hanno rivestito grande importanza gli interventi dedicati ad una delle maggiori sfide ambientali a livello globale per quanto riguarda la transizione ecologica: quello del corretto recupero delle materie plastiche e del PET in particolare.

Per Antonello Ciotti, Presidente CPME (Committee of PET Manufacturers in Europe) non si arriverà ad una reale transizione ecologica se non attraverso un cambio radicale di paradigma. “Raggiungere la sostenibilità deve essere un impegno e per farlo bisogna sostenere i “global sustainability goals”, soprattutto tenendo conto che la popolazione mondiale aumenterà di 2 miliardi nei prossimi 30 anni. Il consumatore si sta affidando alla scienza e alla tecnologia. I produttori europei di PET le combinano per progettare imballaggi per un mondo realmente più sostenibile. Dobbiamo incentivare l’introduzione di nuove tecnologie e disporre di un sistema unificato che consenta la certificazione del contenuto di riciclo, perché attualmente non esiste una tecnologia abile a farlo, che impedisca la competizione sleale e che garantisca la sicurezza dei consumatori”.

Nella stessa direzione l’intervento di Yashovardhan Lohia, Executive Director, Member of the Sustainability and Risk Management Committee, Chief sustainability Officer Indorama Ventures, che ha evidenziato i vantaggi di riciclare il PET: “A differenza di alluminio e vetro, che richiedono temperature molto più elevate, il processo di riciclo del PET richiede meno energia e produce meno emissioni. Non sono ancora chiari i modi in cui la direttiva SUP (Single Use Plastic Bottles) verrà recepita dai singoli Stati. L’economia del passato consisteva nel produrre, consumare e poi buttare. Oggi l’approccio circolare richiede di produrre, raccogliere e riutilizzare il PET e giocherà un ruolo fondamentale nella creazione di una società a carbon footprint zero”.

E se Günther Lehner, presidente di ALPLA Group, oltre a dichiarare la necessità di sistemi di certificazione sempre più autorevoli, testimonia come sia possibile produrre con successo - e a livello mondiale - bottiglie e contenitori attraverso la conversione del PET, per Christian Crepet, direttore di Petcore Europe, oggi il “mantra” di chi si occupa della catena del PET deve essere: “riduci, riusa, ricicla”. Dovremmo inoltre aspirare alla creazione di una piattaforma di monitoraggio che sia davvero mondiale.

La conclusione di Andrea Boragno, Chairman e CEO di Alcantara S.p.A: “Ho avuto la netta sensazione che l’interesse su questo tema sia in grande crescita, e i feedback positivi avuti oggi lo confermanoL’obiettivo di questo congresso era quello di condividere idee e pensieri, unitamente alla consapevolezza della gravità del fenomeno greenwashing e dell’urgenza che la transizione verde richiede.”

La strada è quindi tracciata. La grande difficoltà però rimane capire e individuare cosa sia veramente sostenibile e quali siano le misure da adottare, anche solo a livello individuale, per arrivare ad una società "carbon footprint zero”.
Bisogna anche essere consci delle conquiste scientifiche, dei progressi tecnologici, sapendoli pesare per bene cercando anche di non entrare a gamba tesa con leggi a favore di qualcuno.  
Fondamentale in tutto questo è e sarà anche il ruolo dell’informazione che deve essere chiara e semplice.
Emblematico il caso del vetro rispetto al PET: nell’opinione comune vige l’idea che il vetro, essendo riutilizzabile, sia meno inquinante rispetto al PET ora invece si scopre essere troppo dispendioso in termini di energia ed emissioni, come l’alluminio.

Bisogna quindi costruire e percorrere tutti insieme la strada giusta, tutti devono fare la loro parte con attenzione perché attorno alla realizzazione di un mondo più sostenibile gira una montagna di soldi inimmaginabile ai più. Giusto per avere due numeri: il Socially Responsible Investments (SRI) solo negli USA ha raggiunto i 17,1 trilioni di dollari all'inizio del 2020, il che si traduce in un aumento del 42% dal 2018 ma considerando che è il business del futuro per tutto il mondo… si può solo rappresentare con il simbolo dell’infinito. E quando non c’è limite i rischi diventano esponenziali e il greenwashing, se non considerato da tutti, compresi noi consumatori, si può tramutare in un cancro letale

Infine una ultima riflessione: oggi nel mondo della mobilità si stima che per la produzione di un veicolo elettrico si immettano circa 18 tonnellate di Co2 che equivalgono alle emissioni che si raggiungono con un veicolo in circa 200 mila chilometri. Quindi altra domanda da farsi: vale la pena spingere anche con incentivi per un cambio del parco circolante che per raggiungere la parità impiegherà decenni?
Forse non sarebbe il caso di aiutare gli americani a produrre veicoli come noi europei a emissioni inferiori del 50% rispetto a quelle loro attuali? Come voleva fare Marchionne introducendo motori più piccoli? Non dimentichiamoci che negli USA i veicoli più venduti sono i pick up che pesano quasi il doppio dei veicoli più venduti in Europa e conseguentemente hanno emissioni doppie! E soprattutto sarebbe più utile intervenire anche sulla Cina che alimenta tutto ancora con il carbone ma spinge per l’elettrificazione globale perché è materia su cui ha scommesso e investito tantissimo  (in primis materie prime) e ora ha forte vantaggio su tutti. Ma a ben studiare non tanto a favore dell’ambiente.

 

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